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5 maggio: Giornata Mondiale dell’Ipertensione polmonare

Si tiene oggi, 5 maggio, la Giornata Mondiale dell’Ipertensione polmonare, ovvero l’aumento della pressione del sangue all’interno dei vasi arteriosi del polmone, di cui in Italia soffrono circa 3 mila pazienti.

L’ipertensione polmonare è dovuta alla distruzione, all’ispessimento parietale, al restringimento o all’ostruzione dei vasi arteriosi e provoca la cosiddetta “fame d’aria”, unita ad una sensazione di fatica e stanchezza che va a compromettere tutte le azioni quotidiane.

La pressione polmonare media a riposo è di circa 14 mmHg. Si parla di ipertensione polmonare quando la pressione polmonare media supera i 25 mmHg. Questa situazione sottopone il ventricolo destro, che pompa sangue verso i polmoni, a un sovraccarico di pressione e volume che può condurlo all’insufficienza contrattile e allo scompenso.

Oggi la medicina sa curare in maniera efficace la malattia, sia dal punto di vista chirurgico che farmacologico. Tuttavia è necessario che venga diagnosticata in tempo. I sintomi aspecifici, purtroppo, non aiutano e rappresentano il vero ostacolo ad una diagnosi tempestiva: “questa condizione cronica degenerativa, se non curata, porta a un destino infausto, ma spesso non viene riconosciuta, o viene sottovalutata e scambiata per altre patologie o carenze che possono indurre stanchezza” spiega Vittorio Vivenzio, presidente Amip (Associazione malati di ipertensione polmonare onlus).

La buona notizia è che l’Italia si classifica “tra i primi Paesi per il trattamento di questa condizione” afferma Pisana Ferrari, Ceo della European Pulmonary Hypertension Association: “in Italia le terapie sono disponibili e rimborsabili. I malati di ipertensione polmonare possono, inoltre, contare su esenzioni per invalidità, reddito, e, da poco, con i nuovi LEA, anche per malattia rara. Infatti con i nuovi LEA, appena approvati, l’ipertensione arteriosa polmonare (una delle forme di IP) sarà esente. Il sistema Italia c’è e funziona.
Il problema dell’ipertensione polmonare è che la malattia e i percorsi diagnostici sono poco conosciuti anche tra gli stessi medici. Maggiore conoscenza comporterebbe diagnosi più precoci”.

Fonte: Quotidiano Sanità e Amip

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